A Venezia meno personale e assunzioni più lente.

Si è svolto il 3 luglio, a partire dalle 13.30, il primo dei cinque presidi organizzati da CGIL, SPI, FP CGIL Venezia di fronte agli ospedali della ULSS 3 Serenissima.

Il primo appuntamento ha visto, di fronte ai cancelli dell’Ospedale Civile di Venezia, la partecipazione di lavoratrici e lavoratori, di personale della sanità, di pensionate e pensionati. Il 10 luglio prosegue la mobilitazione di fronte all'Ospedale dell'Angelo di Mestre, l'11 luglio a Dolo, il 15 luglio a Mirano e il 17 luglio a Chioggia.

Mentre la Regione e le ULSS dichiarano che va tutto bene, le cittadine e i cittadini dimostrano che la situazione è completamente diversa. La realtà dei fatti è evidentemente un’altra, e forse chi sostiene che il problema sia in via di risoluzione non ha mai avuto bisogno di prenotare una visita.

Analoghi sono i problemi che vive il personale: nel corso delle assemblee con i lavoratori, la FP CGIL registra una situazione di insostenibilità lavorativa che conferma l’insufficienza di personale, persino sotto gli standard definiti dalla Regione, nelle quali emerge stanchezza, rabbia e persino desiderio di abbandono del lavoro. A Venezia siamo arrivati al punto in cui non si riescono nemmeno più a programmare i turni di lavoro per carenza di personale.

Non è più, dunque, tollerabile la risposta che “manca il personale”, il personale manca perché le condizioni di lavoro non sono più sostenibili. Sono tante le lavoratrici e i lavoratori che lasciano perché non puoi chieder loro di lavorare più di quanto già stanno facendo, lavorando anche con turni di 12 ore e saltando i riposi. Tale grado di saturazione lo riscontriamo anche dal fatto che tanti sono quelli che rifiutano di fare prestazioni aggiuntive benché remunerate un po’ di più: vuol dire che non ce la fanno più, che non è solo questione economica.

Confrontando le unità di personale, risulta evidente come il Veneto risulti carente su quasi tutto il personale sanitario, arrivando a pareggiare la media nazionale solo sugli infermieri, che però a causa della carenza di medici risultano essere comunque gravati di più nel lavoro quotidiano. 

Una situazione altrettanto insostenibile è quella degli anziani, che nella carenza di una sanità territoriale, soprattutto in questo periodo faticano a trovare risposte alternative all’ospedale per soddisfare i bisogni di cura. Gli anziani e le famiglie spesso non possono permettersi l’assistenza familiare o l’accesso alle strutture residenziali, e non sapendo più a chi rivolgersi sono costretti a rivolgersi agli ospedali. Si tratta di una situazione che, anche per ragioni demografiche, prevediamo sempre più rilevante di anno in anno. Fortunatamente l’aumento dell’aspettativa di vita comporta un aumento della popolazione anziana, ma proprio per questo serve prevedere un potenziamento soprattutto della sanità territoriale, dell’assistenza domiciliare e quando necessario delle impegnative per le RSA. 

È inutile continuare a mettere la polvere sotto il tappeto affermando, come fa la Regione, che noi siamo i più bravi in Italia, che stiamo recuperando rispetto alle liste di attesa o che non vi sia intenzione di privatizzare. Nei vuoti che si determinano si stanno inserendo prepotentemente i privati che, va detto, fanno il loro lavoro: per questo vorremmo che anche gli amministratori pubblici facessero il loro. La responsabilità di una errata programmazione non è solo dello Stato, ma anche del legislatore regionale. Ci sono graduatorie con idonei che si lasciano scadere nella nostra Ulss per indicazione e scelta regionale. Pragmatismo non è denunciare i problemi, ma risolverli. E intanto, per noi, la prima condizione per risolvere l’attuale emergenza è andare oltre il tetto alla spesa ed assumere tutto quello che c’è, per garantire il diritto alla salute.