Il quadro che emerge dalla rielaborazione CGIL Venezia dei dati ISTAT sulla presenza delle donne nel mercato del lavoro della Città Metropolitana, fa emergere numerose criticità dal punto di vista retributivo, contrattuale e sociale.
A Venezia le donne lavorano meno ore degli uomini e in condizioni peggiori emergono differenze sostanziali per quanto riguarda i contratti lavorativi: le donne, più spesso rispetto agli uomini, lavorano part-time o con rapporti precari e occupano ruoli professionali meno qualificati.
A Venezia i contratti a tempo pieno per gli uomini rappresentano l’82,5% mentre per le donne solo il 49,6%, confermando che la maggioranza delle donne lavora a tempo parziale, con evidenti ricadute sulle disponibilità economiche e sulle capacità di sviluppo professionale.
Le basse retribuzioni e la forte condizione di precarietà sono senza dubbio un elemento che può segnalare un primo tipo di allarme, anche di fenomeni di “violenza economica”.
Si tratta del controllo economico esercitato sulla donna, spesso dal proprio partner: si verifica con lo sfruttamento economico, l'eliminazione dei beni di proprietà e il sabotaggio economico, impedendole di trovare lavoro e diventare autonoma. Secondo i dati IPSOS, almeno una donna su due ha subito violenza economica almeno una volta nella vita.
Sul dato del 2021 le donne fra i 25 e i 34 anni che appaiono escluse dal mercato del lavoro rappresentano il 17,91%, gli uomini il 9,45%. Tra i 45 e i 54 anni il gap aumenta: il 23,76% delle donne non ha percepito alcun reddito nell’arco dell’intero anno, mentre gli uomini nella medesima situazione rappresentano solo il 10,39% del totale.
Le condizioni di lavoro delle donne sono peggiori rispetto a quelle dei colleghi maschi. Lo sono anche perché spesso sono costrette a rivestire un ruolo diverso, come evidenziano diversi indicatori, nella famiglia e nei lavori di cura o per la mancanza di misure che possano tenere conto dei loro bisogni. A parità di prestazione le donne sono pagate di meno. Nell’Area Metropolitana di Venezia le differenze si registrano in tutti i settori determinando sul dato aggregato un gap salariale di circa 7.000 euro per i tempi pieni, di circa 9.500 euro per coloro che sono assunte a tempo indeterminato.
Gli uomini a tempo pieno raggiungono mediamente i 28.421 euro mentre le donne arrivano a 21.603 euro, dato che diviene ancor più pesante sulle retribuzioni complessive, dove gli uomini arrivano a un reddito medio di 25.522 euro mentre le donne si fermano a 17.021 euro.
I dati confermano anche la decisiva prevalenza di settori come quello turistico e del commercio, dove le donne occupate rappresentano la maggioranza e, nonostante questo, hanno una retribuzione inferiore agli uomini.
Nel settore del turismo e della ristorazione, primo comparto per l’occupazione femminile il gap salariale è di circa 4.000 euro mentre nel settore manifatturiero, primo comparto per l’occupazione maschile, il gap salariale supera addirittura gli 8.000 euro.
Anche i dati sulle nuove assunzioni del 2023 evidenziano come il lavoro femminile rimanga fortemente precario. Emerge in modo chiaro come i contratti a tempo indeterminato nel primo semestre 2023 siano stati l’8,17% per le donne e il 10,40% per gli uomini. Dati che confermano quanto da tempo sottolineiamo sulla forte precarietà del mercato del lavoro nel nostro territorio, che richiede un deciso cambio di passo per investire sulla stabilità occupazionale dei lavoratori.
Rappresenta una fotografia ancor più grave quella che vede il reddito medio per fasce d’età, dove in quella tra 45 e 54 anni la differenza salariale tra uomini e donne supera addirittura i 10.000 euro.
Servono misure straordinarie a sostegno dell’occupazione femminile, a partire da seri investimenti negli asili nido e in tutti gli strumenti di welfare in grado di sostenere il lavoro delle donne.
Per questo serve, come Sindacato, porre maggiore attenzione nella contrattazione aziendale ai diritti delle donne, alle loro necessità individuali e a chiari meccanismi che monitorino possibili elementi di discriminazione a partire da quelli salariali. Si devono superare gli incentivi economici che troppo spesso premiamo solo la “disponibilità” a lavorare, senza mettere al centro l’apporto qualificato, che proprio a partire dalle donne i lavoratori portano nella catena produttiva.
Serve un cambiamento radicale di paradigma in cui gli strumenti per valorizzare la qualità del lavoro e l’emergenza salariale vengano realmente messi al primo posto.
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